#12 - DENTRO LA RIANIMAZIONE
Quanto è visibile la lotta al CoronaVirus?
Cosa significa curare una polmonite interstiziale bilaterale?
Come operano, esattamente, i medici di Terapia Intensiva?
L’invenzione della fotografia, nell’Ottocento, rese possibile “mostrare” le guerre anche ai civili, insomma a chi del fronte prima aveva solo sentito narrare e aspettava a casa i propri cari, partiti per "andar soldato". Il primo conflitto fotografato fu la guerra in Crimea, celebre l’immagine di una distesa di palle di cannone in una vallata, scattata da Roger Fenton (vedi nota). Nessuna concitazione. Solo i resti della battaglia, perché i tempi di esposizione per catturare una foto erano lunghissimi. Impossibile fermare l’attimo, dunque anche bloccare nel tempo un’azione, il gesto di un combattente.
La stessa cosa accade oggi, nel testa a testa tra operatori sanitari e Covid-19.
Nonostante le tecnologie consentano un racconto audiovisivo, per almeno due motivi restiamo spettatori parziali ed inermi della situazione: da un lato per garantire la giusta privacy ai malati (sedati e intubati, loro sì nel vero limbo dell’attesa: mica noialtri che dobbiamo spalleggiarci con gli hashtag come #iorestoacasa per superare le giornate) e, soprattutto, perché il tipo di cure erogate è difficile da comprendere per i non addetti ai lavori.
Insomma: quanti di noi saprebbero dire quando è davvero necessaria una tracheotomia oppure basta un tubo cuffiato? E se poi la trachea va in stenosi? Quanto reggeranno i tessuti?
Piccole grandi cose che apprendo sentendo le mille telefonate di Francesca, quando è a casa. E poi provo a chiederle di spiegarmi. Alcune cose sono decifrabili, altre troppo tecniche. Dieci anni di studio non si recuperano con un bigino. Non esiste un manuale di Intensive care for dummies. Per fortuna, direi.
Insomma, possiamo solo avvicinarci al cuore pulsante del conflitto scatenato dal Covid-19.
Un conflitto che è anche interiore, per i medici. Domande come “Ce la faremo a curarli tutti?” e “Quanti ancora ne arriveranno?” ronzano nella loro testa, messe a tacere solo dalla grinta che continua a guidare le loro azioni.
“Domani quando torno al lavoro troverò il reparto ribaltato, sono in corso dei lavori” mi dice Francesca rientrando alle 10 del mattino da un turno di notte.
“Stavano liberano la sala riunioni, via tutti i tavoli e i mobili per far posto a 6 nuovi letti. E poi abbatteranno il muro in cartongesso tirato su al volo un paio di settimane fa per dividere l’ambiente e delimitare la zona rossa. Ormai sarà tutta, solo, zona rossa. Un po’ come l'intera Italia, non più solo la Lombardia ho appena sentito le news... quanto il Governo ha deciso ieri sera”.
Visualizzo l’ambiente di cui mi parla: il giorno di Natale ci sono stato. Io e le bambine abbiamo fatto una sorpresa alla mamma e siamo passati a trovarla durante il turno 8-20. Colleghi e infermieri ci hanno accolto con gioia, pensando forse anche alle loro famiglie a casa ad aspettarli, al silenzio di un posto a tavola vuoto in un giorno di festa. Un'abitudine, per chi ha scelto di dedicasi a sfidare il confine tra la vita e la morte, guadagnando spesso posizioni. Un orgoglio che zittisce la nostalgia, per chi aspetta il rincasare di questi eroi del quotidiano. Ogni notte. Ogni weekend. Tutto l'anno e in questo periodo d'epidemia ancor più.
Della breve visita le bimbe ricordano la simpatia di chi ha gonfiato guanti protettivi in nitrile, come fossero palloncini somiglianti ad animali, per via delle dita... dritte a formare una cresta di gallo. E anche la cucina interna. “Adesso sappiamo dove immaginarti - sorridiamo - quando dici che pranzi in ospedale! Ah, avete anche i cioccolatini e i panettoni, bravi bravi...”.
Era già, si sa, un reparto dedicato a pazienti critici, tuttavia con un equilibrio tra livello di emergenza e forza lavoro.
Ora è diverso.
Ripenso al servizio visto in tv ieri sera: le telecamere di Teletutto sono entrate proprio nel reparto di Francy, la Prima Rianimazione degli Spedali Civili di Brescia.
Iniziando a seguire il servizio di Andrea Cittadini verrebbe da dire: ecco il campo di battaglia, ma osservando le immagini il pensiero corre ad altro: a un luogo sicuro. Certo, affollato e assediato dai ritmi concitati di questi giorni. Tuttavia, proprio perché crocevia di tanti operatori sanitari ben consapevoli di vivere un momento d’eccezionale emergenza, quel posto evoca paradossalmente un’idea di calma (non ditelo a medici e infermieri che vivono d’adrenalina in questi giorni, altrimenti mi linciano! Ciò che intendo riguarda una sensazione vissuta come cittadino, come potenziale degente: ho percepito quella stessa calma che esprimono i gesti dei soccorritori intervenendo sulla scena di un incidente stradale: mentre i passanti si agitano, i professionisti misurano i movimenti e prendono senza clamore le decisioni necessarie. Definiscono una strategia).
La Rianimazione mi è sembrata un altopiano, una radura accogliente che si apre alla vista dopo una salita faticosa. Un approdo dove riposare e affidarsi alle cure di chi sa come affrontare l’emergenza.
- Da 1 a 10 il livello di emergenza quant’è?
- In questo momento, da noi, 10.
Fuori dagli intenti retorici o dalla trappola delle sviolinate (visto che in queste righe osservo a distanza ravvicinata l’ambiente di lavoro di mia moglie): le parole del Primario del Primo Servizio di Anestesia e Rianimazione e Capo Dipartimento Emergenza Urgenza, dott. Gabriele Tomasoni, e del dott. Carlo Gentile, uno dei Responsabili del reparto di Terapia Intensiva, sono esaustive per comprendere quanto accade.
“Le degenza media di un paziente richiede circa 2 settimane. Stiamo creando uno spazio unico, recuperando così altri 6 posti letto, saranno operativi da domani. Siamo realisti e dobbiamo analizzare anche la situazione futura”.
Ci sono poi gli aspetti psicologici e la resistenza fisica del personale.
“Si spera di resistere. Gli infermieri, in particolare, che hanno anche un’attività fisica impegnativa: si pensi che i pazienti a volte devono essere pronati (insomma, messi a pancia in giù) per farli ventilare, dunque farli respirare”.
A poche ora di distanza, l’assessore al Welfare (responsabile del Servizio Sanitario regionale) della Lombardia Giulio Gallera dirà, intervistato su SkyTg24, che l’ondata di pazienti è tale da prevedere un orizzonte di resistenza di una decina di giorni.
Nel frattempo sarà determinante misurare il ritmo del contagio nel resto della Penisola.
Nel giro di altre 24 ore Brescia si preparerà ad allestire reparti ospedalieri per 250 degenze al Centro Fiere!
La sensazione di essere nel bel mezzo di una guerra c’è. Questa metafora persiste e si uniscono i puntini delle analogie belliche giorno dopo giorno: dalle linee di demarcazione dei confini delle zone rosse che si spostano, alla fuga scellerata verso sud di chi si è sentito “prigioniero”, fino dalle rivolte delle carceri e alle code, paradossali, per i rifornimenti alimentari.
Tutt’intorno il vortice gira, ma in Rianimazione, nell’occhio del ciclone, c’è il sangue freddo di chi ha intenzione di resistere.
Quello è il vero campo di battaglia, dove avviene attimo dopo attimo una lotta troppo veloce per poter essere descritta da immagini o parole, che restano impotenti come la fotografia di Fenton, o meglio possono solo cercare di riassumere la situazione, non delinearla con la stessa ferocia sentita sulla propria carne da chi è in prima linea.
Solo i numeri e le formule matematiche possono raccontarci nel dettaglio quanto sta accadendo, quante energie sono in campo.
Ma spetta alle parole il compito di trasformare questi dati in boccate d'ossigeno d'empatia.
Intanto l’andamento giornaliero del contagio ha superato le 3 cifre, più di mille per volta.
Sfondata quota 10mila malati nel Paese.
La giornata di “smonto notte” scivola via veloce per Francesca, tra qualche ora di sonno e la voglia di vedere un po’ le bimbe, pensare al compleanno di Emma che si avvicina (e sarà strano compiere 8 anni senza vedere amici e senza festina… dobbiamo inventarci qualcosa!).
Fra le tre sorelle, lei è quella che cammina più volentieri, adora le passeggiate in montagna. Nel tardo pomeriggio la porto con me sulla collina per farla sgranchire: il cane deve per forza uscire e qualcuno deve accompagnarlo, meglio andare in mezzo alla natura, nel quartiere incontreremmo altri cani e rispettivi proprietari, tenere le giuste distanze anti-contagio potrebbe essere complicato… “Papy - mi dice - e se iniziano a giocare e s’aggrovigliano i guinzagli come all’inizio de La carica dei 101?”.
Infatti, meglio prendere il sentiero dietro la chiesetta.
Quando rientriamo le sorelle sono impegnate, chi disegna, chi infila collane di perline colorate.
Dal tablet arrivano voci, pare un tg. E invece, avvicinandoci, scopriamo che è una tavola rotonda, in diretta streaming, organizzata dal GiViTi (il Gruppo Italiano per la Valutazione degli Interventi in Terapia Intensiva). Medici di diversi ospedali, ognuno racchiuso in un piccolo riquadro dello schermo, si confrontano sulle strategie e sui risultati ottenuti finora nella lotta al Covid-19.
Oltre quattromila gli spettatori collegati. 4351 in quel momento. Francesca mi dice che, a tratti, hanno superato i 5mila.
Un esercito di angeli custodi.
Sentirli e vederli mette un brivido d’emozione.
Penso all’umanità in cammino, alla ricerca di una soluzione.
La diretta sta finendo, negli ultimi minuti colgo alcune frasi, sottolineate più volte. Si riferiscono ai colleghi del Sud, soprattutto quelli dei piccoli ospedali. Mi restano nella mente. Ronzano anche di notte, mentre cerco di dormire e penso a Francesca vestita da astronauta:
“Non fatevi trovare impreparati”.
“Venite a trovarci x farvi un’idea”.
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NOTE:
L’immagine è The valley of the shadow of death (1855) e in questo contesto viene citata al netto dell’annosa questione della presunta messinscena operata da Roger Fenton per aumentarne la drammaticità, sulla quale si è espressa anche Susan Sontag nel suo celebre saggio Davanti al dolore degli altri (2003).
La fotografia scattata all'interno del reparto di Rianimazione degli Spedali Civili di Brescia è di Gabriele Strada / Neg.
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