#16 - NON LASCIAMOLI SOLI… #aiutiamoli
Francesca regge bene la lotta, ma sono sicuro che è dura. Lavora tantissimo. È abituata a fare turni di notte, ma non così tanti e non in una situazione così critica, con il reparto di Rianimazione che accoglie quanti più pazienti possibile, e vestendo l’armatura per proteggersi.
Abbiamo tutti capito meglio, di questi tempi, la sensazione di portare una mascherina, indossandola per andare a fare la spesa. Immaginiamoci di tenerla 12/14 ore di seguito, unita a occhiali tipo maschera da sub, visiera, due o tre strati di guanti, doppio camice e calzari. E poi magari… ti scappa la pipì. O hai sete.
Loro tengono duro, annientano al massimo le necessità personali, per curare i pazienti.
Ne parliamo, mi racconta. La vedo forte. Ma mi accorgo che nel tempo libero continua a studiare, leggere articoli scientifici, confrontarsi con i colleghi al telefono. Dormire male.
Resta comunque serena e combattiva, come tanti suoi colleghi che conosco. Non è gente che molla. Non per questo non dobbiamo preoccuparci di leggere tra le righe dei messaggi che ci scambiamo, tra le parole delle telefonate o sulle linee d’espressione dei loro visi, anche nel riquadro slavato di una videochiamata.
Francesca sdrammatizza la situazione traslando il problema della resistenza su temi “leggeri”, come le abitudini alimentari. Un’ondata di generosità ha fatto sì che, i nostri “astronauti”, ad ogni cambio di turno, riposta l’armatura, trovino banchetti.
In particolare sono imbanditi di carboidrati, anche se l’altro giorno mi ha parlato di alcune fragole buonissime.
- Basta pizza, non posso continuare così, lievito io. I pizzaioli bresciani hanno davvero un cuore grande… ma le palestre sono chiuse, come arriveremo all’estate? Rotolando?
- Vabbé, ma è sufficiente che mi avvisi quando stai arrivando a casa e ti preparo qualcosa… un po’ di verdura, ad esempio.
- Eh, ma alcune pizze sono troppo buone! Impossibile non assaggiarle. Oggi comunque sono riuscita a trattenermi almeno po’, ho evitato almeno quella che ho ribattezzato “La quattro maiali”: wurstel, salsiccia, salame piccante e prosciutto. Sembrava appetitosa, comunque.
Alza il sopracciglio e la piega del suo sorriso si fa ironica: porgendomi il cellulare mi mostra un’immagine divertente che le hanno inviato. È una pizza a tutto schermo sovrastata dalla scritta: “andrà tutto stretto”.
Ridiamo. Difficile trattenersi anche su altri meme non politically correct, lo ammetto. Come quando da bambino mi portavano a messa e i coetanei mi facevano le facce buffe. Non sto qui a citare le singole immagini, girano in rete, ne sono passate tante davanti ai nostri occhi in questi giorni: abbiamo praticamente preso la residenza sui social, tutti isolati e connessi, lontani e vicini.
Di fatto alcune sono foto esacrabili, inneggiano al body shaming, insomma al bullismo che se la prende con la forma fisica. Tutte cose che analizzo nei miei corsi in Accademia, in particolare quello di Etica della Comunicazione, dove ogni anno mi rendo conto che gli studenti, pur nativi digitali, hanno una bella coscienza critica e sono spesso i primi a condannare tanta superficialità vista in Rete.
E, poi, quanti film interessanti abbiamo proposto al Nuovo Eden, alle scolaresche, per sensibilizzare su questi temi: l’ultimo è stato Dolcissime di Francesco Ghiaccio, (sceneggiato con Marco D’Amore, l’attore che interpreta Ciro nella serie tv Gomorra).
Diciamo che in questi giorni di clausura una piccola percentuale di goliardia di massa, quando non truce, forse può servire a sdrammatizzare. Meglio comunque farsi contagiare - diventando parte della catena virale che divulga il messaggio - solo da quelle simpatiche e innocue.
E a proposito di “viralità”, prendono piede tante iniziative collettive simili al tifo. Trascorsi ormai alcuni giorni, è il momento di chiederci se e quanto sono efficaci, soprattutto quando reiterate.
Gli elogi e gli applausi alla finestra sono un bel segnale di gratitudine, ma i nostri operatori sanitari si meritano di più (e speriamo che anche la politica se lo ricordi, in futuro, perché in passato è stata solo capace di operare tagli).
“Francy - le dico - certo che alla fine di tutta questa storia una medaglia ve la meritate. Se non lo propone nessuno scrivo io a Mattarella. Come minimo tutti Cavalieri del Lavoro”
- Cosa? Senti, andiamo sul concreto per favore… io dopo questi primi venti giorni mi sento cinque anni in più addosso. Scrivigli piuttosto se ci lascia andare in pensione prima d’essere bolliti, va.
La battaglia è ancora lunga, non sappiamo dire quanto. E a farsi sentire non è solo la stanchezza fisica. Anche il morale può vacillare, anche quello di chi è abituato a confrontarsi con la sofferenza, dinanzi all’ennesima vittima della stessa malattia. Al pensiero che quella persona non avrà subito un funerale, scoprendo che la situazione è talmente grave e diffusa che il Vescovo ha offerto le chiese come camere ardenti, per accogliere le bare di chi attende una giusta sepoltura.
Tutti stiamo vivendo un’esperienza inedita per la nostra generazione, siamo toccati dalla ferocia del dolore che vediamo insinuarsi nelle vite di tanti o addirittura lo stiamo provando in prima persona.
I nostri medici, infermieri, soccorritori, oss, il personale delle residenze per anziani, i volontari, insomma tutti gli operatori sanitari stanno fronteggiando questa battaglia in campo aperto.
Dalle retrovie non possiamo permetterci di non aiutarli in ogni modo possibile, dal più pratico e immediato (aderire agli appelli per raccogliere fondi) al più creativo.
Lancio un piccola idea, sperando possa essere di conforto a qualcuno: facciamo tutti mente locale per individuare gli operatori sanitari che conosciamo di persona e cominciamo ad inviar loro brevi messaggi personali, per incitarli e ringraziarli. Facciamolo spesso, direttamente nei confronti di chi conosciamo.
Facciamo sentire che ci siamo, come persone reali. Che il pensiero inviato è un “abbraccio” diretto, sentito. Anche i ringraziamenti ad ampio raggio sono utili, ma ora è tempo di mettere anima, corpo e cuore a disposizione di chi sta lottando ininterrottamente.
Non serve per forza essere poeti, possiamo mandare anche citazioni tratte da libri, canzoni, film. Quel che conta è il pensiero, tradotto nel piccolo gesto d’inviare. Possiamo anche ispirarci a vicenda, dunque se vorrete postare nei commenti alcune frasi, fatelo: ci sentiremo più vicini e utili gli uni agli altri.
Ciò che emerge da questa prima settimana di stop nazionale è una gran nostalgia degli abbracci, un gran desiderio di sentirsi comunità. Cominciamo subito!
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NOTE
La fotografia in b/n è di Ettore Pilati.
I meme girano, mi sono stati inviati da amici via WhatsApp.
Sono naturalmente disponibile a segnalare i credits agli autori, fatevi vivi.
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NOTE
La fotografia in b/n è di Ettore Pilati.
I meme girano, mi sono stati inviati da amici via WhatsApp.
Sono naturalmente disponibile a segnalare i credits agli autori, fatevi vivi.
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