#11 - STARE "A BAITA"
Quando l’espressione colloquiale bresciana deve diventare regola di vita.
Scene da uno (sta)ordinario sabato sera con le pupe, mentre in tv va in onda la “nostra personalissima BRExit”, ovvero l’isolarsi di Brescia e della Lombardia dal resto del Paese.
“Coronavirussss” urla la piccoletta ogni volta che vede l’ormai famosa palla grigia e rossa spugnosa al tg. “È bellissimo, che bei colori” aggiunge la sorella poco più grande. La dodicenne, a questo punto, scuote la testa e ci regala un sorriso ironico: “Oh, ma queste due?! Dove le abbiamo prese?”.
Scenette di vita casalinga.
“Dai, va bene affrontare la cosa con serenità, ma non è un gioco, ragazze. È anche una questione di rispetto per chi soffre e chi lavora duro per curare i malati. Come la mamma e i suoi colleghi”, sottolineo. Citare la genitrice funziona sempre.
Allora il trio cambia argomento: comincia, tuttavia, la solita tiritera del dopocena… “Tu ami il tuo compagno xy” + “Non è vero! E tu invece, allora, ami yz!”. In loop. Dapprima ridacchiando, fino all’esplosione del classico litigio.
Con il tono finto-burbero, allibito di dover ripetere per l’ennesima volta la stessa cosa, attacco con la ramanzina. Praticamente è una cantilena. Mi annoio da solo, a sentirmi. E in un lampo mi salta in mente un paragone: questo reiterare all’infinito le raccomandazioni genitoriali e sentirsi inascoltati è simile a quanto accade a livello sociale in questi giorni: i medici si prodigano in appelli pubblici e, purtroppo, proprio come i bambini, un buon numero di adulti non vuole smettere di giocare. Si vede che regge bene la vita in questo limbo. Rifiuta di prendere davvero coscienza della quotidianità sconquassata.
Le Istituzioni avvisano: “È ora di andare. Saluta gli amichetti, li vedi presto, a scuola. Vieni, è ora di andare a casa....”. È lo Stato che chiama, ma l’effetto è come quello che fanno le richieste di quei genitori un po’ smidollati, già disillusi di farcela.
E allora si dovrebbe tornare ad avvertire, in modo più netto: “Adesso andiamo a baita, dai! Senza discussioni”.
Perché gli appelli sono ancora in parte inascoltati.
“Arriviamo, ancora un attimo”, si impuntano i tanti Pinocchio e Lucignolo, mentre ridono ancora a crepapelle, riaffermando il loro diritto di residenza nel paese dei balocchi, finanche alla vigilia della terza settimana senza scuola, incuranti del peso delle ragioni d’esser bloccati in tale situazione.
Il momento designato inizialmente per il rientro alla normalità (decisione poi sovvertita con una prima proroga di 7 giorni) è pronto a diventare solo un traguardo intermedio, estendendo la sospensione delle attività didattiche fino al 3 aprile, insieme alla scelta di isolare la Lombardia dal resto d’Italia.
- Papà, tu non guardi il film con noi?
- Sì, ma scusatemi, tengo il tablet acceso, ci sono notizie importanti in arrivo...
- Ma Porco Rosso è un maiale?
- Uh? No, poi ti spiego... intanto accendi la tv
- Come si scrive Miyazaki? Quante sillabe?
- Sei incredibile, pensavo volessi solo saperlo per fare la ricerca su Netflix!
È questa la nostra “febbre del sabato sera”.
Per la ciurma un buon film d’animazione (mica facile azzeccare il titolo trasversale che mette d’accordo i gusti dai 4 ai 12 anni).
Per me strabismo: un occhio per Miyazaki e l’altro sul fuoco incrociato della messaggistica sulle chat scolastiche, bollenti in attesa del nuovo decreto ministeriale.
Per Francesca un turno da 12 ore in Rianimazione come per i tantissimi operatori sanitari che in questi giorni stanno dando l’anima.
Una task force operosa di uomini e donne. Questa l’uniforme che mi ha raccontato (e immaginiamoci che in 12 ore almeno una volta alla toilette si dovrà pur andare): tre paia di guanti protettivi, uno sopra l’altro e il terzo a insalsicciare bene il tutto. Mascherina, occhialoni protettivi. Camice verde. Sopra un altro camice chirurgico impermeabile. Visiera copri-volto, tipo quelle dei saldatori, per le manovre a rischio spruzzo di secrezioni infette. Calzari.
Insomma, sono come astronauti agghindati per una missione speciale, tipo uscire dal portellone per andare a riparare la nostra navicella.
Del resto è in gioco il nostro viaggio di ritorno verso la normalità.
Nel frattempo la “gente della notte” sembra ancora vivere prigioniera della canzone-manifesto di Jovanotti d’inizio anni Novanta: aperitivi e movida nei locali e nelle piazze affollate. Devono aver preso troppo alla lettera i passaggi “la gente della notte sopravvive sempre” e dimenticato troppo spesso di “leggere il giornale prima di tutti”.
E poi in questo sabato lombardo accade qualcosa di inedito: annusando nell’aria (o meglio nel web) l’imminente decreto d’ampliamento della zona rossa (che prima annovera solo una decina di comuni) parte un grande assalto ai treni per lasciare la regione, rimuovendo l’idea che la situazione d’emergenza sia concreta, possa palesarsi. Una diaspora scellerata, kamikaze.
Quando Francesca torna dall’ospedale, cotta, verso metà mattinata della domenica, fuori splende il sole di un 8 marzo limpido e in casa è tutto un farsi auguri di buona festa della donna a vicenda. Mi godo lo spettacolo, in attesa di aggiungermi al coro e parlare.
Lei riesce sempre a sdrammatizzare: “Oh, altro che mimose: stamattina in reparto si è presentata a salutarci la dirigenza, insieme al Vescovo che ci ha benedetto. Fantastico eh, ci mancherebbe. Ma al momento ci siamo quasi spaventati pensando all’estrema unzione. Invece acqua santa a profusione, dovremmo fare così anche con l’Amuchina sulla folla”.
E intanto stanno smantellando la sala riunioni per riempirla di nuovi letti per i degenti.
Siamo a 7mila casi in Italia.
700 solo nella nostra provincia.
Una cosa bella da raccontare alle nostre figlie, almeno, ce l’ho: l’affetto dei tanti amici che si stanno facendo vivi in questi giorni, con messaggi e telefonate. Calorosi abbracci virtuali. Gesti e parole che danno energia. Ero sicuro di avere una bella umanità intorno e questo strano periodo di isolamento sociale sta facendo emergere in molti il desiderio di focalizzarsi sulle cose importanti. Sulla cura dei rapporti personali, quasi fossero un antidoto alla paura.
E giorno dopo giorno, non con l’ansia dei numeri del tragico conteggio, ma grazie alle parole messe in circolo, confido che verrà scalzato quello scetticismo ancora diffuso che mi sbigottisce, confrontato con i racconti in arrivo dall’ospedale. Proprio questa speranza nell’empatia del racconto e del dialogo, mi ha spinto a tenere questa specie di diario pubblico.
Ricomponiamoci, come corpo sociale, attraverso le parole.
Incontriamoci subito, in nome del senso civico e dello spirito di comunità; evitiamo di aspettare d’incontrarci solo in temporanea tregua sul campo di battaglia dopo il tramonto, lasciamo questa tragicità del raccogliere i caduti ai poemi epici, e riprendiamoci la nostra quotidianità, insieme.
NOTE:
Il Dipartimento della Protezione Civile tiene monitorato l’andamento dell’emergenza, con dati, tabelle e grafici.
Il testo del brano La gente della notte
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