#33 - L’OSPEDALE MATRIOSKA
Devo essere andato a dormire con un bollino “Melinda” appiccicato al collo. L’ho trovato stamattina sul cuscino. Le principali sospettate sono tre. Che Minions!
Ad attaccarmelo, di nascosto, sono state di certo loro, le mie tre bimbe, ieri sera dopo cena. In effetti prima di sparecchiare abbiamo fatto il classico gioco di “bollarci” a vicenda con gli adesivi della frutta.
Stanno diventando sempre più brave: incollarmelo sul collo “a tradimento” senza che me ne accorgessi è un colpo da maestri.
- La mamma è davvero una dormigliona! - annuncia la piccola quattrenne Bianca, svegliandosi tardi e trovando la porta della camera matrimoniale chiusa.
- Ma no poverina, è stanca… ha lavorato tanto stanotte in ospedale.
Per noialtri inizia un nuovo “giorno della marmotta”, stessa ambientazione, azioni che si ripropongono, cicliche, come nell’omonimo film (o almeno così è per il titolo originale Groundhog Day, basato su un particolare rito americano, e trasformato nella versione italiana in Ricomincio da capo). Divertente anche il remake italiano: È già ieri.
Nel primo Bill Murray, nel secondo Antonio Albanese sono protagonisti di una singolare esperienza: rivivere sempre la stessa giornata, in loop.
In quarantena capita un po’ la stessa cosa, sempre nella stessa casa.
Io comincio la mattinata con la mia marmottina, Bianca.
Si alza più tardi del solito, in questo periodo, e così stamattina non ha incrociato la mamma Francesca che tornava dal turno di notte. Ora la nostra dottoressa si è già coricata per ritemprarsi, le notti in reparto sono dure in questo periodo.
Io comincio la mattinata con la mia marmottina, Bianca.
Si alza più tardi del solito, in questo periodo, e così stamattina non ha incrociato la mamma Francesca che tornava dal turno di notte. Ora la nostra dottoressa si è già coricata per ritemprarsi, le notti in reparto sono dure in questo periodo.
A me e Bianca non resta che leggere il giornale sul tablet, in attesa che anche il resto della truppa si presenti a colazione. Scopriremo così gli sviluppi del nuovo progetto annunciato, che prevede la realizzazione di un… ospedale dentro l’ospedale!
Un milione di euro è la cifra stanziata per trasformare la scala 4 degli Spedali Civili, proprio quella dove lavora mamma, in quello che viene definito “un centro innovativo dedicato al Covid-19”, che ospiterà 180 posti letto.
Insomma, deduciamo che la scelta sia stata quella di rinunciare alla precedente idea di un ospedale da campo, in favore della nascita di un ospedale-matrioska: struttura dentro la struttura, con una vita indipendente, per garantire la sicurezza degli altri reparti rispetto alla diffusione del virus. Pensandoci: anche gli Infettivi al Civile sono da anni collocati in un edificio separato dal blocco centrale.
Sospendiamo il giudizio sull’efficacia della scelta, che speriamo si riveli la migliore. Il primo pensiero, egoisticamente, corre alla mamma: la consapevolezza della sua vicinanza quotidiana con il Coronavirus si prospetta, dunque davvero, una preoccupazione a lungo termine. Slitta ancora l’orizzonte di tornare a lavorare e vivere alla vecchia maniera.
L’emergenza, già da sei settimane, ha avuto un impatto importante sulla vita professionale di Francesca, sedimentando di certo nei suoi pensieri più intimi, vista la tanta sofferenza toccata con mano, giorno dopo giorno. Se, infatti, tutti noi ricorderemo il lockdown, nella memoria di medici e sanitari in genere, resteranno le ondate continue di pazienti bisognosi di cure. Una tempesta dall’intensità crescente, da affrontare indossando armature che rendono il “solito” lavoro molto più impegnativo e fisicamente stressante. (Insomma, abbiamo tutti provato, ormai, a respirare con la mascherina, anche solo per fare la spesa al supermercato… immaginiamoci 12 ore consecutive trascorse così).
Non che non l’avessimo capito: era ormai chiaro che la fine dello stato di allerta non fosse dietro l’angolo. La notizia dell’unità speciale Coronavirus nell’ospedale di Brescia arriva semplicemente come un’ennesima presa di coscienza dell’entità del problema Covid-19: una pandemia destinata a lasciare il segno sui libri di storia. Una traccia che, tuttavia, sebbene già concreta, possiamo ancora delineare. Le nostre mosse presenti e future sono e saranno determinanti per stabilire il bilancio finale della crisi.
Restare ancora chiusi in casa, ad esempio, è necessario. E pare che tutti si siano già rassegnati all’idea di una Pasqua e una Pasquetta senza festeggiamenti e picnic primaverili.
Del rientro a scuola si parla con titubanza, l’ipotesi di concludere l’anno scolastico da casa è difficile da affrontare per gli alunni, almeno per le nostre figlie più grandi, di seconda elementare e seconda media: al di là della tipica proverbiale insofferenza verso gli obblighi scolastici dei ragazzini, dopo un mese e mezzo di distanza da amici ed insegnanti manca il fiato al pensiero di rientrare in aula tutti insieme solo a settembre. Tra sei mesi!
Del rientro a scuola si parla con titubanza, l’ipotesi di concludere l’anno scolastico da casa è difficile da affrontare per gli alunni, almeno per le nostre figlie più grandi, di seconda elementare e seconda media: al di là della tipica proverbiale insofferenza verso gli obblighi scolastici dei ragazzini, dopo un mese e mezzo di distanza da amici ed insegnanti manca il fiato al pensiero di rientrare in aula tutti insieme solo a settembre. Tra sei mesi!
Roba da libri di storia, davvero. Questo buco nelle nostre vite è destinato a restare nella memoria. Dovremo colmarlo con pensieri, riflessioni, affetti. Parlarne. Condividere tutto ciò che può aiutarci a rielaborarne l’esperienza. E per chi sta vivendo quella del lutto, sarà ancora più necessario e delicato.
Dovremo trasformare questa voragine nello spazio adatto a costruire nuove fondamenta.
Ora sono quelle di un ospedale-matrioska, guscio dentro un guscio con dentro la mamma al lavoro.
E non solo lei, un mondo pulsante di uomini e donne che curano altri uomini e donne.
Da questa umanità al servizio dell’umanità, dovremo ripartire. La relazione di cura, messa in atto tra operatori sanitari e pazienti, fatta di dedizione, rispetto e gratitudine, dovrà essere il modello per un nuovo domani. Una società a misura d’uomo.
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Guardo la mia marmottina, Bianca, che attende la mamma uscire dalla tana.
Noi, in famiglia, leggiamo sempre come si sente Francesca osservando la curva dolce del suo primo sorriso. È un segno per capire quanto manca alla fine della tempesta. Un po’ come il comportamento della marmotta sul finire dell’inverno per americani e canadesi:
“Il 2 febbraio, negli Stati Uniti e in Canada, è noto come il Giorno della Marmotta (Groundhog Day). Tradizione che va avanti da oltre 100 anni, si basa su una credenza piuttosto bizzarra. La leggenda vuole, infatti, che il roditore, soprannominato 'Phil', uscendo dalla propria tana in questo giorno sarebbe in grado di capire quanto durerà ancora l’inverno in base alla sua ombra. Nel caso in cui la marmotta veda la propria proiezione sul terreno farà ritorno nella propria tana, annunciando altre sei settimane di temperature rigide. In caso contrario, vorrà dire che la primavera arriverà in anticipo”. (cit. SkyTg24)
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NOTE
Grazie a Nicola Zambelli per le significative immagini scattate all'ospedale.
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