#36 - LA VIDEO-VITA


Sto perdendo l’imbarazzo del consegnarmi alle immagini.
Lo stiamo facendo tutti noi, che ci eravamo convertiti a seminare dettagli sui social - come sassolini di Pollicino - ma ancora non esageravamo con le stories di vita.

L’illusione è lasciare tracce riconoscibili, da seguire a ritroso quando deciderò di avventurarmi nel passato, per scoprire chi sono stato e che percorso ho fatto.
Il vero desiderio, nascosto in fondo al cuore, mi accorgo che è allineare indizi affinché qualcun altro possa rimetterli in fila. E so anche chi: m’immagino i miei Minions, grandi, ricostruire il puzzle. È una visione romantica, sdolcinata. Forse, tuttavia, anche realista. La rete sociale digitale ci cattura comunque ogni giorno, e ciò che possiamo fare è solo cercare di controllare i nostri gesti, inarcarci in modo armonioso mentre ci dimeniamo fuor d’acqua, come pesci appena pescati. 
Mentre finiamo incastonati negli screenshot “rubati” durante le conversazioni in video-conferenza di questi giorni su Skype, Meet, Zoom, HouseParty e chissà quanti altri luoghi virtuali.

- Papà, ma fai lo YouTuber adesso? Ahahahah.

- Stavo solo registrando un’intervista video… alla fine è bello che resti traccia di una chiacchierata con un autore, effettivamente ne vorrei rivedere alcune di quelle fatte davanti al pubblico negli anni passati. 

- Sì sì, dicono tutti così.




Immagine dopo immagine, giorno dopo giorno, mi ritrovo più bidimensionale. 
Video-chiamate.
Video-conferenze.
Video-interviste.
Video-lezioni.
In particolare sono queste ultime, come già fu il salire in cattedra in generale, ad aiutarmi a spezzare l’incantesimo della timidezza paralizzante, la stessa che mi bloccava da bambino, da ragazzino e anche in una prima fase della giovinezza.
Ricordavo giusto l’altro giorno con un amico di vecchia data, quando la professoressa di storia delle medie durante le interrogazioni mi mandava sul fondo della classe, in piedi dietro all’ultima fila di banchi, per costringermi ad alzare la voce. Simpatica. L’imbarazzo ci ha messo del tempo a diluirsi e se sono sopravvissuto a quello che ancora non veniva chiamato bullismo è grazie ad amici abbastanza svegli da essersi accorti che il punto principale della questione non era il volume del mio parlare, ma ascoltare ciò che avevo da dire. 
Questo approccio pedagogico non ha aiutato, anzi: credo sia stata la causa reale del problema che mi sono portato dietro nel decennio successivo e che ho risolto solo grazie alla voglia di non smettere di inseguire le mie passioni, qualsiasi sforzo comportassero. 
E così mi sono ritrovato sul palcoscenico e in aula (altra forma di proscenio): luoghi che ho dovuto imparare a gestire per inseguire ciò che amo. Dapprima la musica, suonando in diverse band, poi il cinema, di cui parlare agli studenti e al pubblico.
Se mi fermo qualche settimana, al rientro provo ancora il ricordo di quel nodo allo stomaco che mi ricorda la gioventù. Poi, appena carburato, riparto. E, ormai da anni, adoro catturare gli sguardi dei ragazzi in aula, degli spettatori al cinema, durante i dibattiti dopo il film che tento da sempre di condurre sfatando il fantozziano mito del cineforum come supplizio associato a La Corazzata Potemkin (capolavoro bistrattato, diciamolo, trattenendo tuttavia a fatica un sorriso ripensando al ragioniere interpretato da Paolo Villaggio che se lo sorbisce).




Sforzi. Disponibilità al cambiamento. Capacità di sopportazione.
Questo periodo di lockdown, così particolare e a tratti surreale esige da tutti noi elasticità.

Cado in un baratro mentale ad ogni notizia che toglie il fiato, come l’ultima giunta: il fratello minore di un mio compagno di scuola è ricoverato da 15 giorni, ora in Terapia Intensiva. È un ragazzone di 38 anni che ricordo bambino. E adesso sta per diventare padre per la prima volta. Dopo giorni trascorsi intubato e sedato, ora gli hanno fatto la tracheotomia, dunque è vigile e vede sua moglie tramite videochiamate con i tablet donati all’ospedale. 
Parlo e scrivo sempre, ma non ho le parole giuste da dire al mio amico, quando ci sentiamo e mi chiede se Francesca ha saputo qualcosa in più rispetto a quanto i medici del diverso reparto Covid dove è ricoverato hanno comunicato. 

Penso a quella famiglia e penso in particolare a quell’uomo, più giovane di me.
Impossibile, accanto allo sgomento, non sentirsi chiamati in causa. Riflettere qualche secondo sulle tracce lasciate fino ad oggi. Sono cose belle? Dove e come potevo essere migliore? Soffermandomi sui numeri allucinanti delle vittime di queste ultime settimane, è impossibile allontanare, ogni tanto un pensiero estremo: e se capita a me, cosa resta di tutto ciò che sono stato?

Ieri Francy è uscita di casa alle 7 del mattino ed è ritornata che erano quasi le 22.
Anche se circondati dalle nostre fantastiche Minions festanti non abbiamo potuto fare a meno di parlare subito di tutte le persone che conosciamo che stanno combattendo questa dura battaglia contro il Coronavirus. Lei mi aggiorna sull’andamento dei suoi pazienti, tantissimi, dunque in particolare parliamo di quelli legati alla nostra rete di conoscenze, per poi dare qualche informazione agli amici in apprensione. E ieri sera mi ha detto una cosa che sarà il tema del nostro futuro: 

- Anche quando ci diranno che possiamo tornare, con moderazione, alla vita normale, dovremo fare in modo che i nostri genitori restino riparati per almeno altre 2 o 3 settimane. Questo virus è troppo pericoloso e sarebbe folle rilassarsi subito, può riaccendersi come pare stia accadendo in Cina. 

- Va bene amore, troveremo le parole per spiegarglielo. O forse basterà che vedano le rughe di preoccupazione che ormai solcano i nostri volti. In video. 



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. La fotografia scattata al supermarket è di Ettore Pilati.

. La fotografia della cerimonia di laurea con gli avatar degli studenti è stata divulgata dalla giapponese Business Breakthrough University.

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