#43 - L'HALLELUJAH, ALL'IMPROVVISO.


- Hey Siri, metti Eltongiòn!

Bianca armeggia con l’iPad di mamma Francesca, che a Pasquetta è di turno in ospedale.
Vuole sentire la colonna sonora di Rocketman, il film biografico sull’ascesa al successo del pianista e cantautore Reginald Dwight, in arte Elton John.
Di recente è rimasta colpita dal suo sound pop energico - come piace a lei - nonché dal suo look appariscente, da superstar della musica, soffermandosi davanti alla tv che trasmetteva il biopic firmato da Dexter Fletcher.

Avere quattro anni e sapere esattamente cosa si desidera è una condizione invidiabile: un’apparente invincibilità. Lei non chiede, ordina. Non aspetta, agisce. Figuriamoci davanti ad una tavoletta nera parlante che obbedisce ai comandi. C’è un unico problema: non sempre Siri riesce a capire esattamente la lingua del piccolo capo. E così si creano dei battibecchi surreali tra baby-boss e l’assistente vocale, che pare talvolta addirittura stizzita.





- Ragazze, a proposito di musica… - intervengo, richiamando l’attenzione di tutte e tre le mie bimbe - guardate questo video che mi ha mostrato ieri sera la mamma! Sentite che meraviglia: è una sua amica ostetrica, Valentina, che l’altro giorno ha cantato nel corridoio d’ingresso dell’ospedale. Non so se vi ricordate: un pomeriggio, tempo fa, siamo stati a sentirla esibirsi al Conservatorio, dove si è laureata in canto lirico.





- Ma come mai c’è un pianoforte lì, papà?

- Lo hanno portato in questi giorni, così difficili per il Coronavirus, proprio affinché la musica possa dare conforto a chi desidera suonare e a chi passando può ascoltare. Se ci pensate una melodia è una forma di comunicazione potentissima, può mettere in contatto sconosciuti, far battere i loro cuori allo stesso ritmo. Come ai concerti, no?

- Sìììì, è vero, come allo stadio l’anno scorso quando siamo andati al concerto di Vasco, eravamo in tantissimi! Ci portiamo anche Bianca la prossima volta?





- Esatto, proprio così! Mah… per Bianca vediamo dai, lasciamola crescere ancora un po’.

- Guarda che tra non molto il concerto lo fa lei, eh… conviene sbrigarsi!

- Ahahaha. Avete ragione. Sentite, mi sono fatto lasciare dalla mamma il numero di telefono di Valentina, voglio chiederle di raccontarci come si è sentita quando ha suonato all’ospedale e come si vive in sala parto in questi giorni così complicati. Vi ricordate quel reparto? Ci siete nate tutte e tre. E l'anno scorso ci siamo tornati per vedere il vostro cuginetto Francesco Ibrahima appena venuto al mondo. 





- Sììì, che voglia di vedere Franceschino, ma quando possiamo farlo? Tra poco camminerà ed è già da un mese e mezzo che non lo prendiamo in braccio! Uffa. Ci manca.

- Eh, avete ragione, anch’io e la mamma abbiamo nostalgia... e avremmo voglia di vedere anche gli zii Ale e Ousman. Basta con Skype! La chiamata di gruppo di Pasqua con tutta la famiglia è stata simpatica, ma sarebbe proprio ora di riabbracciare un po’ tutti. 

- Idea: mandiamo a tutti il video dell’Hallelujah, così ci sentono più vicini. Facciamo battere i nostri cuori tutti insieme.

- Che brave! Dai, va bene. Prima però telefoniamo a Valentina e la intervistiamo insieme, così poi a nonni e zii sapremo spiegare bene come sono andate le cose, insomma la storia che c’è dietro a questo momento di magìa.

- Va bene, dai!


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Valentina ha raggiunto il pianoforte in una pausa. 
Ha iniziato ad accarezzarne i tasti senza neanche togliersi i guanti protettivi. 
E a cantare con la mascherina.
Un’immagine che resterà impressa nella memoria della nostra città.
Un simbolo di grazia e responsabilità.

Ci ha raccontato il senso del suo gesto, insieme artistico e umano:


Quando ho saputo che avevano messo a disposizione un pianoforte mi sono emozionata. Sono abituata ad avere due vite separate: in ospedale sono un’ostetrica, fuori una cantante lirica. 
Suonare e cantare al Civile è stato un momento speciale, la fusione delle mie due identità: mi ha toccato profondamente.
Attualmente come tutti gli artisti sono ferma. E pensare che ero stata selezionata dal Conservatorio di Milano per la bohème e adesso avremmo dovuto cominciare le prove.

All’inizio ero solo incuriosita dalla presenza del piano, a spronarmi ad avvicinarmici è stata la mia collega Giusy. Mi sono seduta e ho iniziato, con l’idea di suonare soltanto. Poi il canto è venuto spontaneo, ho attaccato con Wish You Were Here dei Pink Floyd, poi Amazing Grace e infine Hallelujah, di Leonard Cohen, con un pensiero anche all’intensa interpretazione fatta da Jeff Buckley. 

Ho vissuto quel momento come una specie di preghiera, complice il fatto di essere nella Settimana Santa.

Ho incanalato nella musica tutta l’ansia accumulata durante le ultime settimane intense di lavoro, dove in sala parto abbiamo cominciato a indossare i dispositivi di protezione individuale: importantissimi per la sicurezza di tutti, ma che rappresentano di certo una barriera che scherma l’empatia che cerchiamo di comunicare alle partorienti. Abbiamo trasformato questo limite in uno stimolo per riuscire lo stesso a ricreare un clima quanto più possibile simile alla normalità. Per umanizzare al massimo la relazione.

E poi, fuori dall’ospedale, c’è la mia vita di mamma di due bimbi di 3 e 7 anni, con tutti i pensieri legati alle cautele da avere lavorando in un ambiente a contatto con il Coronavirus. E per fortuna ci sono le chiacchierate con mio marito, infermiere: insieme possiamo confrontarci e ci aiutiamo sempre a capire cosa fare. Sciogliamo i dubbi nei discorsi, ci supportiamo. 
Del resto stiamo insieme fin dai tempi delle elementari, frequentate a Penne, il nostro paese d’origine, in provincia di Pescara, dove ancora vivono le nostre famiglie.

A Brescia sono arrivata 13 anni fa e lui mi ha seguito. Ci siamo sentiti subito accolti e abbiamo messo radici. E adesso, a maggior ragione mentre ogni giorno ci adoperiamo per superare questo momento difficile, la sentiamo proprio nostra questa città.


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