PIANETA PIAVOLI
Un nonno fotografa la propria nipotina in mezzo alla natura.
È il regista Franco Piavoli. Osserva la piccola, mentre lei accarezza la primavera in giardino.
Un attimo magnifico, fissato per sempre da un altro artista, Mario, che è al centro di questo incontro tra generazioni: figlio di Franco, padre di Agata.
Ecco dunque i Piavoli, nella loro Pozzolengo, tra le dolci colline a sud del lago di Garda.
Eccoli in un “ordinario” momento di grazia a fine lockdown, nel cortile della grande casa di famiglia, da decenni teatro di tanta creatività e poesia.
La straordinarietà degli eventi, infatti, dipende solo dai punti di vista… e sul “Pianeta Piavoli” la capacità di cogliere l’essenza del vivere è cosa quotidiana, non un’eccezione.
Da sempre è un rifugio anche per gli ospiti, un luogo dove la capacità di contemplazione e l’armonia con la natura sono gli assi cartesiani dell’esistenza.
Dunque non c’è da stupirsi dell’incanto di questa nuova fotografia.
Esprime quella stessa magìa che i Piavoli sanno distillare nelle loro riprese (già questo termine è illuminante, riflettendo oltre l’abitudine di utilizzarlo per convenzione: allude alla capacità di “prendere” frammenti di realtà, selezionarli accuratamente).
Un’attitudine che evoca subito la forza dirompente de Il pianeta azzurro e degli altri film del maestro Franco, celebrati dai festival di tutto il mondo.
E continuando a guardare la fotografia che ritrae nonno e nipote, per associazione, mi vengono in mente le immagini che ha girato per il film Terra Madre, bella operazione orchestrata da Ermanno Olmi, una decina di anni fa: la sequenza si chiama L’orto di Flora e ritrae l’altra nipotina, al tempo piccolissima, alla scoperta dei profumi della vegetazione.
Sono onorato che Mario, al margine di una nostra bella chiacchierata telefonica, abbia pensato di condividere con me e con tutti voi lettori questa sua fotografia, che ritengo sia un simbolo del momento che stiamo vivendo, che ci mette di fronte a tante responsabilità pensando al futuro dei più giovani, orfani di un quadrimestre scolastico e ancora nell’incertezza rispetto alle modalità del rientro in classe a settembre.
È un’immagine che considero una sorta di chiave di volta del suo percorso artistico, che si delinea da una parte con il coinvolgimento attivo nelle opere del padre, dall’altra come sviluppo autonomo di ricerche sul ruolo dell’individuo rispetto a società e natura (Il suono del mio passo, ma anche i lavori con il coreografo Virgilio Sieni).
Con questo scatto Mario trova la prospettiva esatta per descrivere la sua posizione, con valenza universale: è esattamente al centro dell’incanto che vede noi adulti spettatori del rapporto tra i nostri figli e i nostri padri.
Forse mi rivedo in lui, pensando alle mie figlie e ai miei genitori.
Ma attraverso il suo sguardo riesco ad andare oltre al presente, ad arrivare fino a ripensarmi bambino, ricordando dettagli della casa dei miei nonni, dove ho trascorso tanto tempo.
È l’intera serie di fotografie scattate da Mario durante il lockdown appena trascorso a risvegliare in me quelle belle sensazioni.
- Ho voluto esplorare gli spazi di quando ero bambino - mi confida.
- Ho voluto esplorare gli spazi di quando ero bambino - mi confida.
Mi basta questa spiegazione, dalla sua voce, come carburante per far partire la mia macchina del tempo. Mentre mi parla al telefono, osservo gli scatti che mi ha inviato. Rivedendo la grande casa faccio tappa, con la memoria, nei primi anni Duemila, quando per la prima volta mi capitò la fortuna di recarmi a Pozzolengo ed essere accolto in quel luogo tutto da scoprire.
Facevo parte di un gruppo di studenti universitari in visita didattica al regista. Dovevamo realizzare una video-intervista. Rimasi folgorato: l’ambiente era la cassa di risonanza perfetta per le parole del maestro, Franco, classe 1933, che parlava del poeta Lucrezio e ci svelava segreti sulla vera natura del cinema. E poi, allora, c’era ancora la cara Neria, sua moglie e mamma di Mario, una donna fantastica, occhi brillanti, gentilissima con tutti noi ragazzi. Capimmo subito che il loro rapporto era speciale: oltre all’amore emergeva un’intesa sulla vita, sull’arte. Basti l’immagine di lei intenta a cucire le vele per l’Ulisse di Nostos - Il ritorno.
Tornai anch’io in quella Itaca ritrovata che pare essere la Pozzolengo dei Piavoli a chi la scopre. Mi ripresentai, sempre da studente, per realizzare un’intervista più approfondita, con due compagne di corso, Sara e Geraldine. Quella volta il maestro era tutto per noi e ci fece visitare da cima a fondo la grande casa, mostrandoci anche il meraviglioso erbario realizzato con Neria, le sue fotografie degli anni Cinquanta, le sue macchine da presa, una lettera carica di stima speditagli da Tarkovskij, la moviola usata per montare a mano i suoi primi film ( "ma adesso mi aiuta Mario - disse - che è bravo con il digitale… in futuro il montaggio si farà solo così, meglio cominciare! ” ). Ci regalò anche, a ricordo della giornata, alcuni fotogrammi su pellicola tratti da un suo film.
In un lampo sono passati vent’anni. Ho mantenuto i contatti con il “Pianeta Piavoli”, tornando ad intervistare il maestro e Mario, che nel frattempo ho conosciuto, innamorandomi anche del suo sguardo artistico.
Ci siamo incontrati a proiezioni, mostre. E, sempre con gioia, al FilmFestival del Garda, dove anche i questi giorni i due registi sono presenti nel programma della speciale edizione tutta online, causa pandemia. Avrei tanto desiderato sedermi a chiacchierare di cinema con loro ai tavolini di un bar di San Felice del Benaco, dopo le proiezioni. Stavolta ci siamo accontentati del telefono.
Mario mi ha raccontato delle fotografie scattate in casa, durante la quarantena.
È stato un periodo duro, ma non possiamo lamentarci di come lo abbiamo trascorso. Non eravamo lontani dagli affetti, abitando tutti vicini. Superato lo spaesamento iniziale davanti al fenomeno Covid e la sensazione di sospensione, si è creata una nuova quotidianità che mi ha concesso uno spazio mentale utile per letture e visioni di film. Ad esempio ho seguito con interesse l’edizione, tutta online, del festival Visions du Réel. E poi c’erano le piccole cose quotidiane, le vicende domestiche, la gestione familiare, le bambine, che tuttavia hanno reagito bene all’emergenza. Ho sempre trovato il tempo per consultare libri fotografici che aspettavo il momento di sfogliare con calma. E anche per proseguire nello sviluppo di un mio nuovo cortometraggio, protagonista un flaneur. Incredibile vedere le città deserte durante il lockdown, erano simili all’ambientazione ricostruita con fatica per alcune scene, mesi fa.
Sulla stessa lunghezza d’onda, suo padre Franco:
Mi sono ritrovato, come tutti, in isolamento e dunque con più tempo libero a disposizione: quello sottratto alle relazioni umane. Credo che, oltre a difendersi dalla malattia, si debba reagire alla particolare condizione di vita nella quale ci ha spinto, approfittando dei momenti di solitudine per riflettere su noi stessi e su tutti gli argomenti che di solito rimandiamo.
Mi è mancata la visione di film nella sala cinematografica, sul grande schermo… Tuttavia, giocoforza, ho utilizzato la televisione e le piattaforme di streaming, dove si trovano molti grandi classici, prima difficili da recuperare. Ci sono capolavori che consiglierei ai più giovani di andare a ricercare. A partire da Ladri di biciclette di Vittorio De Sica e La dolce vita di Federico Fellini.
Parlando, ancora una volta, del suo cinema, gli ho detto che secondo me questo momento potrebbe essere perfetto per far scoprire anche i suoi film a chi non ha ancora avuto la fortuna di vederli: si sviluppano come grandi sinfonie, mettendo in armonia natura e umanità…
Infatti li definirei proprio «video-sinfonici», anche perché la parola è presa in considerazione solo come puro suono. Adoro l’idea che i miei film arrivino a tutti i popoli senza bisogno di traduzione.
Maestro, insomma, adesso che tutto sta ricominciando… con quale sguardo sul mondo ci consiglia di tornare alla realtà?
È giusto riprendere il contatto con il territorio che ci circonda, non serve andare in luoghi turistici lontani e famosi. Si possono fare passeggiate nella natura, c’è una vegetazione bellissima in questo momento. E riscoprire il tempo da trascorrere con gli altri. A volte per dimostrare amicizia basta suggerirsi a vicenda letture ed ascolti. Magari meglio musica allegra, di questi tempi. Ma non dimentichiamoci mai le composizioni di Beethoven, Mozart e Brahms.
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Nota:
Tutte le immagini di questo post sono state scattate da Mario Piavoli, che ringrazio di cuore per la gentile concessione.
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