AGGIUNGI UNA BRANDINA. PER RALLENTARE LA CADUTA LIBERA.



- Faccio un salto a prendere un cavetto per ricaricare le batterie.

Ma ne abbiamo tanti, ce n’è tipo un gomitolo… prova a guardare nel cassetto…

No, ma… me ne serve uno diverso dai nostri, è per un altro modello di tablet. 

?

- È per una paziente, ieri piangeva perché desiderava fare una videochiamata per salutare i suoi bambini. Ma è ricoverata nella nuova zona Covid, quella allestita al piano di sopra… in Rianimazione siamo al completo. E il caricatore era rimasto giù.


È così, la nostra Francesca: quando torna a casa non ci fa la telecronaca delle mille storie che incontra sui suoi passi ogni giorno, ma ogni tanto ne parla inserendole nel flusso della nostra vita familiare.


Mi rende partecipe di questa urgenza un martedì mattina, mentre siamo nel più grande centro commerciale della nostra provincia, un tempio dello shopping incastonato tra le tangenziali, che t’ingurgita come un Moloch. Abbiamo parcheggiato nel ventre di questa balena di cemento armato, diretti nel giga-negozio d’arredi più famoso del globo. Camminiamo con la stessa foga di Pinocchio e Geppetto, pronti a scattare quando il pescecane (che Disney trasmuta in cetaceo) tossisce, per attraversarne la bocca sospinti dal fiato e fuggire. Per noi la lotta contro il tempo è dettata dalle avvisaglie di un nuovo lockdown all’orizzonte (non solo le nuove restrizioni e il coprifuoco, sono proprio i numeri dei contagi a parlar chiaro): abbiamo la necessità di procurarci un paio di brandine per il reparto. No, non servono per i pazienti, per fortuna. Sono per i medici, perché anche nei turni di notte sono già schierati molto più numerosi del normale, per fronteggiare questa seconda ondata osservata con scetticismo solo da chi ha la fortuna di non averne mai visto le manifestazioni reali.






Secondo me dovreste organizzare dei tour guidati in reparto per i negazionisti - dico ironico - ma effettivamente poi loro, anche davanti a questa evidenza di dover aggiungere letti per i medici, potrebbero replicare che andate in ospedale a dormire. Pigiama party! Dubito che si soffermerebbero sulle sfumature della realtà, arrivando a comprendere che una branda può servire per un ristoro poche decine di minuti, che su un turno notturno da 12 ore possono comunque fare la differenza in lucidità ed energie.


Francy è ormai troppo infastidita dall’argomento stesso, per riderci su. Passare da eroi a bersagli per l’odio è troppo: quando ha letto la notizia delle auto di medici e infermieri danneggiate dai vandali a Rimini ha deciso di prendersi una pausa dai social network.

Cambio tono, allora, che è meglio. E riesco a farla ridere, passando davanti all’area food, proponendole un panettone in truciolato alla cannella e la classica casetta di pan di zenzero da costruire e guarnire. C’è anche un tubetto di finta colla, per alimenti: le bambine ne andranno matte! Prendiamo tutto. È shopping compulsivo per ansia da lockdown, ammettiamolo.

Io mi accaparro addirittura una piccola scrivania, poco più profonda di un tagliere per il salmone (mentre una confezione dello stesso pesce è già sotto la mia ascella, a mo’ di baguette). L’idea, acquistando e montando il nuovo mobile, è crearmi una nicchia-bunker per lavorare da casa senza vagare alla ricerca di un posto libero dove appoggiarsi, in caso anche in Italia si blindi tutto davvero. L’ipotesi di una nuova chiusura suona estrema, fa un certo effetto anche a noi, pur essendo focalizzati sulla reale impennata dei contagi. 

Ma a giudicare dalle notizie che arrivano dai Paesi Europei più vicini e anche dal numero di telefonate di conoscenti positivi o in quarantena preventiva che riceviamo, non ci vorrà molto per far comprendere una nuova serrata all’opinione pubblica. Peccato, tuttavia, che finora sia solo il virus stesso ad ottenere udienza. A farsi ascoltare, quando si rivela.





Il punto è che la prevenzione ha una voce troppo simile a quella del Grillo Parlante. E infatti, adesso pensiamo a fronteggiare il momento, ma è di certo già il caso di iniziare a pensare ad una exit strategy dal problema per il futuro: non possiamo continuare a fare lockdown a singhiozzo, si dovranno trovare standard di vita adeguati per non riaccendere focolai, in futuro. È questa la preoccupazione maggiore: che quella dei lockdown diventi un’altalena difficile da fermare.


Me ne rendo conto passando, sabato mattina, nella piazza ellittica più famosa della città. Dopo essere salito sulle colline in bicicletta, sbuffando via le preoccupazioni tornante dopo tornante, fino alla cima del nostro monte, scendo purificato e decido di passare dal mio amico barbiere, per prenotare un taglio di capelli nei prossimi giorni. Facendo uno più uno, anch’io sto inanellando una serie di riti pre-lockdown. Ma non prevedono assembramenti, mentre lo spettacolo che mi ritrovo di fronte nella piazza sbigottisce: sembra un capodanno australiano, complice il clima mite. Sotto il sole va in scena una notte bianca. È paradossale: mentre i cinema e i teatri soffrono le chiusure, come anche i centri commerciali e sportivi, tanti ristoranti e locali e tutte le scuole superiori… ecco un pianeta che si crede Covid-free: il mondo dell’aperitivo del sabato mattina. E pensare che il locale storico più famoso del centro, per scrupolo di coscienza e senso di responsabilità, ha comunicato un cambio di passo nel rito dell’aperitivo già un mese fa.


Come ormai da copione, i risultati di questi comportamenti li vedremo tra una decina di giorni. E pensare che (oltre a una coerenza nell’impostazione delle regole) basterebbero dei bravi pubblicitari a far capire cosa significa stare tutti insieme appassionatamente. Come gli ideatori del famoso spot delle palline da ping pong, diffuso mesi fa dal Dipartimento della Salute dell’Ohio (Usa). 


 




Ma forse la mia è una visione romantica. Perché ci sono ovunque segnali della presunzione d’essere tutti invincibili, invulnerabili. Anche mentre salgo in bicicletta ne ho uno molto esplicito: da una parte un intervento “artistico” arguto che ha trasformato il cartello di “pericolo generico” in un uomo che precipita; dall’altra l’automobilista che - proprio mentre sto scattando una foto a quella che, in fondo, aspira ad essere un'opera di street-art, decide di lanciarsi in un sorpasso, incurante della riga continua, come anche della strada stretta e dei possibili sportivi in transito. Tanti, di sabato mattina; tutti con la paura del lockdown negli occhi, ma rispettosi delle regole di distanziamento. 


La sensazione, incontrandoli lungo il percorso, è quella di un pellegrinaggio. Del resto tutti, chi in montagna, chi in piazza, siamo una comunità intenta ad affrontare una salita, per respirare. E possiamo farcela, se l’ansia di benessere, proprio come ne Il Sorpasso, non s’insinua a… rompere le uova nel paniere.





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