#38 - DOPO SAREMO DIVERSI?




Francesca torna dalla notte di turno in ospedale e mi trova alle prese con la colazione del nostro trio, che alla settima settimana sta ormai prendendo ritmi da Grand Hotel. 
Le tre ragazze gradirebbero uova al bacon e trionfi di frutta. Un buffet degno dell’accoglienza riservata al GGG alla corte della regina d’Inghilterra. Abbiamo rivisto il film di Spielberg in famiglia l’altra sera, sbellicandoci durante quella scena, quando il Grande Gigante Gentile offre a sua maestà il suo sciroppio sfribollino : è quello con le bolle che frizzano all’ingiù, con conseguenze devastanti, ma divertentissime, per l’intestino. Indimenticabile la proiezione per le scuole che presentai qualche anno fa: le risate di trecento ragazzini all’unisono resteranno nella mia memoria per sempre, come appigli per rasserenarmi all’occorrenza.

Per fortuna sporadici appuntamenti per la didattica a distanza fissano l’orizzonte dell’inizio mattinata almeno alle 10, così da poter accampare scuse da padre premuroso per velocizzare la situazione. In questo progressivo allentarsi delle redini educative, mi consola l’idea del compagno di scuola di Federica, seconda media, che si presenta regolarmente in videoconferenza con 40 minuti di ritardo, appena sveglio, con i capelli bagnati, e chiede alla professoressa di poter fare colazione mentre ascolta le spiegazioni, perché… non ha avuto tempo prima.

Risate amare, penso: chissà cosa mangiano e fanno i miei studenti quando video-spiego io… c’è una tale epidemia di videocamere spente con la scusa delle connessioni web lente che viene da chiedersi se questo lockdown non ci abbia riportato indietro nel tempo, ai modem degli anni Ottanta, stile War Games, dove tra l’altro il giovane protagonista era più interessato a migliorare i suoi voti hackerando il server della scuola, rispetto allo scatenare la guerra termonucleare globale evocata dal titolo del film. Sono cambiati i ragazzi da allora? Tantissimo, ma se c’è una costante potrebbe essere proprio una certa dose di ribellione innata, in dotazione con la giovinezza.

Guardo le mie Minions ruminanti. Sembrano stupite del mio incalzarle di tanto in tanto. Mi credono appena sveglio e inspiegabilmente attivo, tuttavia in realtà per godere di alcuni momenti di silenzio preziosi per scrittura e sviluppo di alcuni progetti, sono in piedi già da qualche ora. E ho già letto i giornali: errore gravissimo nell’ottica di non investire la nostra rianimatrice di domande, al suo arrivo. 
A proposito di cambiamenti stamattina, inoltre, ho ricevuto un messaggio da parte di una lettrice, che mi inchioda alla stessa domanda sollevata da un mio studente nell’ultima video-lezione, a proposito dei consumi di massa: dopo saremo diversi? 

C’è un interessante slittamento in atto nella percezione dell’emergenza: stiamo iniziando a immaginare il futuro prossimo. Escono articoli, rimbalzano notizie nei tg. 





Francesca entra in casa, tripudio di figlie. Coccole. Caffè.
E poi, non riesco a trattenermi dal parlare con lei: l’unica adulta in 3d che frequento in questo periodo (salvo chiacchierate dalla finestra con alcuni cari vicini di casa, di tanto in tanto). Comunque la prendo larga.

- Sai che il funambolo Philippe Petit, quando dopo anni di progettazione furtiva dell’impresa, riuscì nel 1974 ad accedere di nascosto al cantiere delle Torri Gemelle quasi ultimate e a tendere una fune di circa 60 metri tra i due edifici per camminare lassù (a oltre 400 metri da suolo per più di un’ora)… quando scese si infilò a letto con una spettatrice della sua performance per tutto il resto della giornata! Lo racconta proprio lui, nel bellissimo documentario vincitore dell’Oscar, Man on Wire.

- Ooook. Perché mi stai dicendo questo, adesso?

- Pensavo che anche voi operatori sanitari state camminando sul filo. E volevo ricordarti che io sono qui. Non sarò un affascinante sconosciuto, ma sto coltivando una chioma fluente, potresti invaghirti di una nuova versione di Paul. Più wild. Insomma, l’impossibilità di andare dal barbiere sarà la mia arma segreta per conquistarti, quando toglierai la tuta bianca e ritornerai nell’astronave.

- Che scemo!

- Beh, mi hai fatto vedere troppe puntate di Gray’s Anatomy e cose simili in questi anni… 
quegli ospedali lì sono terreno di una caccia continua: nella serie c’era addirittura un personaggio soprannominato “il dottor bollore”. Spesso ci abbiamo scherzato su, ti ricordi?

- Eh, speriamo di ricominciare a farlo. Magari parlare di cose così, in questo periodo il clima in ospedale è proprio teso.

- Hey, non posso rinunciare al nostro solito gioco delle parti: faccio il geloso e tu mi dici che sono io che frequento un sacco di posti pieni di ventenni e se non faccio il bravo mi stendi con una mossa di CrossFit. Fingiamo di ingelosirci e poi ci abbracciamo sorridendo.

- Sì, ma adesso ho la testa sintonizzata su altre frequenze…

- Per caso hai già letto l’intervista al tuo collega rianimatore? “ Ma quale eroe? Io costretto a scegliere chi intubare ”…

- Esatto, girava tra noi in ospedale stamattina, al cambio turno. Siamo consapevoli che il ritmo al quale ci costringe l’emergenza si ripercuoterà su molti di noi, in futuro. Esiste un disturbo da stress post-traumatico, qualcuno potrebbe andare addirittura in burnout. 

- Capisco. Si susseguono omaggi a tutti voi, ma bisognerebbe capire di cosa avete realmente bisogno, oltre che di celebrazioni e manifestazioni d’affetto. E, innanzitutto, avreste la necessità di tornare a curare le persone lavorando a ritmi normali e senza tutte quelle protezioni addosso, chissà che sensazione di pericolo continuo che provate, oltre al caldo e alla fatica.

- Dipende da chi sta cominciando ad allentare le maglie delle restrizioni, stanco di guardare la primavera solo dalla finestra. Bisogna sacrificarsi ancora un po’, restare a casa per bloccare i contagi. Ho visto gente a passeggio tornando qui, si capiva.

- Davvero? 

- Sì, purtroppo. Si inizia a percepire l’insofferenza al lockdown. È pericoloso smettere di essere prudenti adesso. 

- E, oltre a rispettare le regole, per voi operatori sanitari cosa possiamo fare noialtri?

- Quello di cui avremo bisogno - e non solo noi, in realtà - è superare questo trauma. Sia l’Ordine dei Medici che l’ospedale stanno attivando servizi di consulenza psicologica, infatti. Ma non serviranno soltanto a chi lavora negli ospedali. Immagina i parenti dei nostri pazienti: per giorni, anche settimane, vivono “in sospeso” in attesa di una nostra telefonata. Lontani dai loro cari, magari morenti, e nell’impossibilità di raggiungerli, fosse anche per un ultimo saluto. E poi tocca aspettare anche per il funerale. È devastante. Non vedi, non parli. È un limbo. 

- Davvero pazzesco. Una situazione paragonabile ai dispersi, ai rapiti. 

La risposta alla domanda “dopo saremo diversi?” si delinea nitida nella mia mente. Certo. Per forza. Molti di noi lo saranno e di sicuro lo saremo come società. In una prima fase sarà più evidente, anche per tutte le ripercussioni economiche e l’impatto sul lavoro, sul consueto stile di vita. Per qualcuno permettersi le stesse abitudini di prima sarà difficile o impossibile.

Nel corso della giornata le cronache ci mettono di fronte ad altri servizi interessanti: il New York Times Magazine è entrato proprio nel reparto di Terapia Intensiva di Francesca e lo ha raccontato con immagini e parole di grande impatto. Inoltre un altro medico anestesista e rianimatore ha rilasciato un’intervista struggente al Giornale di Brescia, sulle difficoltà del comunicare la morte




Un evento come questa pandemia (ascrivibile allo scenario definito medicina delle catastrofi dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) ci pone dinanzi alla nostra fragilità, come esseri umani, e ci ricorda qualcosa che la società dei consumi strutturatasi a partire dalla seconda metà del Novecento ha sempre tentato di rimuovere: fragilità e possibilità che si verifichi l’inatteso. 
Ogni categoria di esperienze viene di solito catalogata dal sistema del consumo di massa, tranne l’ipotesi che il consumo stesso venga messo in discussione. Che i sistemi di mercato saltino e si debbano riconvertire le produzioni per far fronte ad eventi globali inaspettati, diversi anche dalla tipologia bellica. La guerra è il caso limite contemplato. La resistenza ad un virus era invece - a torto - pensabile solo come trama per cinema, letteratura e videogame, benché già descritta, anche in tempi recenti, da libri (l’ultimo caso è Spillover) e addirittura serie tv (emblematica Pandemia Globale).


Amore, vorrei avere una parola magica da dirti, per cancellare ogni tua preoccupazione. Per tornare indietro nel tempo. Evitare di vedere tutto questo. L’unica cosa che posso assicurarti è che io sarò qui, sotto la fune. Adesso ti guardo ammirato e preoccupato, ma ricordati che non sei sola lassù, mentre un passo alla volta affronti la situazione: sono sempre qui, a fare il tifo per te e anche pronto a prenderti al volo.


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NOTE

Il dipinto #forzaBrescia (80x90 tempera su tela) è opera dell’artista Severino Del Bono, che ringrazio di cuore per averne concesso la pubblicazione, oltre che per l’immagine di grande impatto, in omaggio alla nostra città.

Per info sui servizi di consulenza psicologica citati:
- Ordine dei Medici di Brescia, clicca qui.
- Spedali Civili, clicca qui.





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