#51 - FAR TORTE DURANTE L’URAGANO



- Chi te le ha fatte queste belle guancette? 

- La nonna.

- Cooooosa? E allora chi te le ha fatte queste belle coscette?

- Il papà.

- Ma come il papà? Ti ho tenuta io nel pancione, brighella!

- Ahahahaha.


Di solito la scena è questa. E mamma Francesca è la prima a divertirsi. È orgogliosa della simpatia della nostra piccola Bianca, che non perde occasione di spiazzarci con frasi inattese. Sorprese verbali che svelano il suo carattere furbetto e anche i suoi pensieri. Che in questo periodo somigliano un po’ a turbamenti.

Infatti, rimettendo in atto la dinamica ormai classica di questa “gag”, adesso ha cambiato le sue battute. Improvvisamente. Di norma sono tutte pensate per stuzzicare Francy, per farla ingelosire creando una specie di duello scherzoso, che finisce poi per sciogliersi in abbracci e coccole.

- Chi te le ha fatte queste belle sguanzette? - Le chiedo io, mentre è in braccio alla mamma.

- La mamma.

- Ah, davvero? Ma non la prendiamo un po' in giro? Che coccolona che sei diventata… 

- Sì.

- E io, allora, cosa ho fatto?

- Emma.

- Ma dai, ho fatto Emma?! Ma guarda, hai sempre una rispostina pronta!

Ridiamo tutti, l’arguzia di Bianca colpisce ancora. 
Effettivamente, sorridiamo anche perché ci sono alcune foto di quando ero bambino che sembrano davvero ritrarre Emma, se non fosse per i vestiti anni Ottanta. Ancora una volta Bianca ha colpito nel segno. Sembra invincibile. Tuttavia sappiamo che questo cambio di prospettiva, insomma smettere con il piacere dei piccoli dispetti e “non far altro che coccole alla mamma”, è un segno di affetto che va oltre alle solite dinamiche, come se volesse proteggere Francy, che vede molto provata nelle ultime settimane.




Non che questo livello di “saturazione” raggiunto rispetto allo stato di emergenza fermi Francesca nelle attività indoor: a casa continua ad impastare. 
Finché cucina va tutto bene. 
Ultimamente: pane ebraico. Pasta sfoglia fatta a mano. E, con nostro sommo gaudio, non è ancora finita la stagione delle torte pasqualine, talvolta con uova di quaglia.
Ci mette anche le decorazioni e la marachella più in voga, tra i Minions, è rubarsi una rosellina croccante.




Mentre la cucina si trasforma nel solito laboratorio creativo, fuggo portando in salvo il mio computer dalle nuvole di farina pronte ad aggredirne le feritoie della tastiera. Le nostre Minions iniziano ad aiutare mamma. Girato l’angolo del corridoio realizzo che non mi va di allontanarmi, troppo bella la vitalità di questi momenti. Ecco, focalizzo una mia paura: sarebbe tremendo se la fatica e il vortice di emozioni di questo periodo dovessero togliere a Francesca l’entusiasmo e la gioia di vivere.




E questo vale anche per tutti gli operatori sanitari. Cicatrici ne avranno, lo sappiamo già. Ma ferirli in modo irreversibile sarebbe un vero fallimento sociale. Sono consapevole che a qualcuno stia già succedendo. In particolare capita agli ospedalieri colpiti dall’uragano Covid su 2 fronti: lavoro e vita privata, associando ai turni massacranti sofferenze legate ai propri affetti o addirittura lutti.
Ne ho parlato di recente con l’amico Giorgio, Infermiere di Emergenza. “ Viviamo su due fronti - mi ha detto - e l’uno influenza l’altro. Ad esempio sono rimasto sconvolto incontrando un collega a pochi giorni di distanza dall’ultima volta e scoprendo che aveva perso mamma, papà e uno zio. Inoltre sua sorella è intubata. Come si fa a rialzarsi dopo un KO del genere? ”.

Lo richiamo per fare due chiacchiere, confrontarsi è sempre molto bello. Di solito Giorgio ed io lo facciamo durante pranzi o passeggiate in montagna con le nostre famiglie. Adesso - per ovvi motivi di lockdown - al telefono. E scherzando ci siamo detti: “Ehilà, che tranquillità! Non ci ha interrotto nessuno, incredibile! Zero assalti di bambini con richieste bizzare”. Comodo, ma strano. 

- Sai qual è il problema all’orizzonte? - mi chiede Giò.

- La rielaborazione di quanto accaduto?

- Non solo. Il punto è che la fase degli “eroi” sta per finire. Poi inizierà quella degli attacchi: la fase “killer”, dove la gente vorrà individuare i colpevoli di questa assurda situazione. Sarebbe ingiusto prendersela con noi operatori sanitari, più facilmente si punterà il dito sulla politica.

- E quindi sarà tempo di bilanci sulla gestione dell’emergenza?

- Sì, ma è importante non essere miopi e dunque non focalizzarsi solo su questo momento: le responsabilità vanno ricercate nella politica degli ultimi vent’anni. Nei tagli alla sanità. Non bisogna fermarsi all’analisi della battaglia, ma porsi in una prospettiva di fine-guerra e capire chi ha generato il conflitto. Adesso passa l’idea del nostro sforzo immane, poi saremo come i reduci. 

- Aiuto, tocchi un tasto che mi spaventa: mi sono ritrovato a pensare che questo sia il vostro Vietnam e non posso immaginare Francy e tutti voi come ai tanti personaggi “mai davvero ritornati” dei film che subito mi vengono in mente: da Nato il 4 luglio fino addirittura a Il grande Lebowski, dove tra gli amici del mitico protagonista Drugo spicca il reduce Donny. Per non pensare che in questo momento siamo ancora nel mezzo di Apocalypse Now.




- Più che altro: chiediti che fine fanno i reduci. Nella migliore delle ipotesi, se la guerra va bene, vengono dimenticati. Se va male, disprezzati. Se non vogliamo che queste siano le uniche opzioni dobbiamo cominciare a ragionare subito e metterci in una “prospettiva di fine-guerra”.

- E il primo passo qual è?

- Cominciare a capire meglio cosa è successo, come siamo arrivati a dover gestire un’emergenza del genere e come essere preparati al futuro.

È già chiaro che quanto accaduto negli ultimi 2 mesi in Lombardia resterà nei libri di storia. Forse per questo io continuo ad attaccarmi ai piccoli dettagli di quella “normalità” che amiamo, in modo che non vadano persi tra le righe, risucchiati in un vortice che ci porti a non ricordare che abbiamo reagito alla straordinaria portata degli eventi con forza, dignità e senso di responsabilità nei confronti dei più piccoli, per non togliere loro - già privati da un momento all’altro della vita sociale e degli spazi aperti - anche i dettagli della quotidianità familiare. 

Continuiamo a far torte, anche durante la battaglia, per non dimenticarci chi siamo.
Perché il domani non sia un tempo da reduci, ma da uomini e donne ricordati per il coraggio d’aver saputo evitare il naufragio durante un uragano.


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